Final Fantasy Saga, 1987 -

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view post Posted on 22/3/2012, 23:09     +6   +1   -1
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Final Fantasy (1987)

I quattro Cristalli del Potere controllano e regolavano i rispettivi elementi, Terra, Acqua, Fuoco e Vento, diffonendo con la loro luce pace e armonia nel mondo. Un triste giorno però la luce dei cristalli si esaurì e l'ordine naturale del pianeta irrimediabilmente alterato; il male inizia a diffondersi sulla Terra e i mostri imperversano ovunque seminando il caos costringendo gli umani a ripararsi tra le mura delle città. Prima di partire per il Lago Crescente per unirsi ai grandi Saggi, Lukhan il Profeta annuncia ai cittadini di Cornelia l'arrivo di quattro eroi leggendari che avrebbero lottato contro il male e ripristinato la pace e l'armonia. Questi quattro eroi sono i Guerrieri della Luce.

Hironobu Sakaguchi e Hiromichi Tanaka lasciano entrambi la Yokohama National University nel 1983, attratti da nuovi stimoli; non molto distante da Yokohama c'era infatti un negozio di informatica, dove gli studenti e i programmatori in erba potevano utilizzare i computer, una sorta di internet café ante litteram.

"Avevano tutti questi PC ammassati alla parete, e tu pagavi a ore per usarli. All'epoca erano molto costosi, difficilmente potevi permetterteli. Il negozio era nei pressi del campus della prestigiosa Keio University, quindi molti studenti universitari piuttosto dotati lo frequentavano. Penso che il presidente abbia pensato che il posto con il tempo si sarebbe evoluto naturalmente in una software house".
Sakaguchi con queste parole si riferisce a Masafumi Miyamoto, figlio del proprietario della Den-Yu-Sha, compagnia di impianti elettrici ("Den" e "Yu" sono rispettivamente i caratteri cinesi di "elettricità" e "amica"), e quindi titolare di quella piccola attività ad essa affiliata. Miyamoto non era un esperto programmatore, era semplicemente un giovane laureato con fiuto per gli affari, intuendo in quel momento le potenzialità del crescente mercato dei videogiochi ("non capisco come funzionano i computer, ma capisco come dovrebbe essere un buon gioco per computer"); assume quindi part-time una decina di programmatori e designer tra coloro che frequentavano il locale, tra cui Hironobu Sakaguchi, Hiromichi Tanaka e Hisashi Suzuki (futuro CEO), battezzando il gruppo "Square". I primi videogiochi realizzati, The Death Trap e il suo sequel Will: The Death Trap 2, vanno soprendentemente bene, riuscendo a piazzare circa 100,000 copie su PC-88 e FM-7, i computer di riferimento. L'intuizione di Masafumi Miyamoto risiede nella valorizzazione di figure professionali quali artisti e scrittori, all'epoca estranee allo sviluppo di videogiochi, attività prerogativa per soli "smanettoni di computer"; l'assunzione di artisti dalla prestigiosa Keio University (come Hiromi Nakada, la prima donna del team) e la scoperta delle doti narrative di Hironobu Sakaguchi, daranno un'impronta decisiva all'identità della compagnia.

Il debutto su console però non sarà altrettanto positivo, con la conversione di Thexder Square sottovaluta l'enorme competitività presente su Famicom nonché le differenze con l'ambiente PC, come ricorda Suzuki: "abbiamo iniziato questa attività con la serie PC-8800 di NEC e pensavamo di essere all'avanguardia delle tecnologie informatiche", ma si sbagliavano. Il vantaggio tecnico di Square riguardava la sua rapidità nel realizzare la grafica, di conseguenza si era concentrata fino a quel momento su avventure grafiche e testuali, rendendo Will: The Death Trap un successo commerciale. Di contro, il Famicom non era paragonabile ai PC in termini di versatilità e flessibilità di configurazione, il suo sviluppo richiedeva una concentrazione maggiore sull'elaborazione grafica da parte di CPU personalizzate, oltre alla padronanza dell'uso degli sprites, tecnica già ampiamente utilizzata da Namco, Capcom e le altre compagnie di successo, ma non da Square.

Questo passo falso non impedisce tuttavia a Square, ora indipendente, di continuare a sviluppare, anzi, il numero di giochi aumenta notevolmente e con esso il fatturato, che sfiora i 3 miliardi di yen, permettendo alla società di affittare un ufficio nel cuore di Ginza. Del resto, nel pieno del boom economico giapponese, Nintendo, le terze parti e i distributori ad essi legati accumulano fortune, spingendoli a sfornare una serie di giochi di bassa qualità. Square non fa eccezione, dagli appena due giochi pubblicati nel 1985 passa a cinque nel 1986, e ben tredici nel 1987, con diversi team che lavorano in parallelo. La qualità però ne risente e con essa anche i margini di profitto, l'affitto per l'ufficio di Ginza comincia a diventare un peso.


I consumatori iniziano a stufarsi dei soliti giochi di stampo arcade tutti uguali e il mercato giapponese subisce una flessione nel 1986. L'anno successivo Square è costretta a prendere una decisione difficile, si trasferisce in un modesto ufficio a Ueno, il vecchio centro di Tokyo, licenziando metà del personale. Ne rimangono una trentina, tra questi emergono Kazuko Shibuya, le cui doti artistiche si erano distinte in Alpha (1986, sopra), Koichi Ishii, tra gli ultimi grafici arrivati, Nobuo Uematsu, commesso di un negozio di musica che i ragazzi di Square erano soliti frequentare, scovando un abile compositore, e Akitoshi Kawazu, designer appassionato di videogiochi di ruolo come Ultima e Wizardry.
Sarà proprio a quest'ultimo che si rivolgerà Sakaguchi: "e se realizzassimo un gioco di ruolo?". Ci sono i designer, gli scrittori, il compositore adatto, la passione. C'era effettivamente tutto, ma non il via libera della società, che non vedeva di buon occhio lo sviluppo di un RPG, con i tempi di programmazione che questo genere richiedeva e le poche garanzie di vendita. Gli RPG venivano sviluppati, da aziende come Nihon Falcom e T&E Soft, principalmente su PC, dove si poteva salvare la partita e dove, a loro dire, c'era il pubblico più specifico, diverso da quello console.

Fortunatamente per Sakaguchi e soci, alle soglie dell'estate del 1986 il mercato giapponese subisce un nuovo scossone, esattamente quello che gli serviva per uscire dal torpore e farlo entrare in una nuova fase; l'azienda Enix, che fino a quel momento aveva realizzato solo piccole avventure per computer come Door Door e Portopia Renzoku Satsujin Jiken (1983), rispettivamente di Koichi Nakamura e Yuji Horii, pubblica nel 1986 un gioco di ruolo per MSX e Nintendo Famicom dal titolo Dragon Quest. Le vendite inizialmente non sono eclatanti, ma grazie al passaparola, ai numerosi articoli Shonen Jump (curati dallo stesso Yuji Horii, con buona pace del conflitto di interessi) e al suo design accattivante a cura del già famosissimo mangaka Akira Toriyama, il successo aumenta in modo esponenziale nei mesi successivi al lancio, rendendolo uno dei videogiochi più popolari di sempre. Il Giappone letteralmente impazzisce scoprendosi affamato di combattimenti a turni, mostri e avventure, Enix mette subito in cantiere il sequel che uscirà l'anno successivo, ma tutte le grandi aziende salgono sul carro, nasce una nuova mania che di certo non sfugge agli uffici Square: Dragon Quest è la prova che il genere poteva funzionare anche su console, eccome.

Ottenuto il via libera dall'azienda, Hironobu Sakaguchi mette insieme il team, secondario rispetto a quello con a capo Hiromichi Tanaka, in tutti i sensi: 7 persone contro 20. Il morale è basso e c'era davvero questa sensazione di "o la va o la spacca". "Il nome Final Fantasy era una dimostrazione della mia sensazione che, se non fosse andato bene, avrei lasciato l'industria dei giochi e sarei tornato all'università. Avrei dovuto ripetere un anno, quindi non avrei avuto amici: era davvero una situazione "finale". Un aiuto prezioso arriverà da un gaijin, Nasir Gebelli, brillante programmatore iraniano-americano che si era fatto un nome nell'ambiente Apple II. Sakaguchi lo ricorda come se in azienda fosse arrivato un fuoriclasse, anche se parlava poco o nulla il giapponese e non capiva nulla di RPG e delle loro regole; alla richiesta "I punti ferita del personaggio scendono a questo punto" lui rispondeva "Cosa sono i punti ferita? Se viene colpito, perché non cade semplicemente?". Quando però si trattava di programmazione era un genio e il suo fondamentale contributo nella creazione di Final Fantasy è ancora oggi sottovalutato, a lui si devono feature importanti come navi e aeronavi, assenti in Dragon Quest, e trova anche il tempo per includere nel gioco quello che è considerato a tutti gli effetti il primo minigame in un jrpg, un classico "sliding puzzle" con 15 numeri, attivabile sulla nave premendo B 55 volte mentre si tiene premuto A.

Ad Akitoshi Kawazu spetta il compito di dare "corpo" alle idee di Sakaguchi, cercando dove possibile di non imitare Dragon Quest, come la visuale laterale per i combattimenti invece che in prima persona; i punti di riferimento erano piuttosto gli occidentali Wizardry, Ultima e, per quanto riguardava bestiario, incantesimi e debolezze, Dungeons & Dragons, aspetti che gli altri sviluppatori giapponesi tendevano ad ignorare, prelevandone solo l'estetica e l'immaginario, da qui anche la scelta delle classi ad inizio gioco. Koichi Ishii completa la squadra dei designer: "un rozzo a cui piace andare in giro con giacche di pelle, ma che poi disegna cose carine come i Chocobo", la descrizione di Sakaguchi, e in effetti il mondo di Final Fantasy, pur non essendo "fanciullesco" come quelli ideati dalle matite di Akira Toriyama, non disdegna elementi più leggeri, conservando quell'anima comunque giapponese, uno stile che caratterizzerà anche i capitoli successivi, sviluppando una filosofia che troverà la sua consacrazione estetica nella serie di Seiken Densetsu, ideata proprio da Ishii.
Per il character design e le illustrazioni serviva però un altro tipo di profilo, forse più adulto e raffinato. Koichi Ishii propose così il nome di Yoshitaka Amano, dalla notorietà non ai livelli di nazional-popolare come Akira Toriyama, ma l'artista era già abbastanza apprezzato nel settore dell'animazione (Gatchaman, Tenshi no Tamago) e soprattutto dei romanzi leggeri (Guin Saga, Vampire Hunter D). Evidentemente però non in quello dei videogiochi: "non so chi sia", rispose lapidario Sakaguchi, "questo è esattamente quello che cerco", indicando a Ishii le illustrazioni di una rivista, che subito esclamò "ma quello è Amano!". È come se fossero stati i suoi disegni a chiamare Sakaguchi, e non il nome.
Nobuo Uematsu, che al contrario del Maestro Koichi Sugiyama è un totale autodidatta, assimila e amalgama vari stili musicali, per creare qualcosa di unico e riconoscibile, pur con ampi margini di crescita, in grado di regalare travolgimenti emotivi e affreschi ambientali che vanno ben oltre gli ascolti iniziali; Temple of Chaos e Theme of Final Fantasy stanno già lì, fra le altre, ad inaugurare una carriera straordinaria.



I Guerrieri della Luce, i Cristalli, il mondo di Final Fantasy prende così vita e musica grazie ad un concentrato di talenti che creano un videogioco solido, in grado di distinguersi dalla concorrenza di Falcom e Enix senza tuttavia strafare, ancora oggi godibile (i remake si limiteranno ad aggiornare la grafica e ad abbassare la difficoltà generale), nonostante il suo essere inevitabilmente datato nella sua rigidità, sintetizzabile nello schema trova l'artefatto X da dare al personaggio Y per sbloccare il passaggio Z, e via andare fino al finale.
Finale che sopraggiunge laddove inizia l'avventura, quel Tempio del Chaos teatro di una battaglia tra bene e male senza fine, quel concetto di "ciclo da interrompere" che tornerà, puntualmente, nel futuro della saga, Garland come Artemisia, Khaos come Sin. È una Leggenda che nasce, piantando ben salde le sue radici.

“A quei tempi, lo spirito era che non stavamo creando un prodotto ma una creazione. Stavamo mettendo la nostra anima nella produzione, riversando tutte le idee nel gioco, anche quelle che emergevano durante lo sviluppo, non si risparmiava nulla per il sequel. Quindi, quando finisci, sei vuoto, non hai idea di cosa fare dopo, ma spingendoti in avanti, nuove cose vengono alla luce. Penso che sia un bene se quello spirito è continuato con Final Fantasy fino ad oggi”. Hironobu Sakaguchi.

Final Fantasy II (1988)

Un lungo periodo di pace viene interrotto quando l'imperatore di Palamecia, con un esercito di mostri evocati dagli inferi, inizia la sua campagna per la conquista del mondo. Il Regno di Fynn prova a contrastare il piano dell'imperatore, ma la sua roccaforte viene sopraffatta e i ribelli rimasti si ritirano nella remota città di Altair. Quattro giovani di Fynn, Firion, Maria, Guy e Leon, rimasti orfani a causa della guerra, sono inseguiti dalle forze imperiali ma vengono tratti in salvo dal gruppo di ribellione Wild Rose guidato dalla Principessa Hilda, con l’eccezione di Leon, fratello di Maria, che rimane disperso nel caos della battaglia. Inizialmente esitante all’idea di coinvolgere giovani senza esperienza, Hilda, convinta del valore e della determinazione di Firion, Maria e Guy, li accoglie tra le fila dei ribelli.

Come si realizza un buon sequel? La risposta tutt’oggi non è univoca, e lo era ancor meno alla fine degli anni ‘80, quando il concetto stesso di sequel per i videogiochi per console era ancora agli albori, e non solo per quanto riguardava i giochi di ruolo. Grandi saghe videoludiche come The Legend of Zelda, Castlevania, Dragon Quest e Metroid debuttano tutte nello stesso periodo, in un incredibile 1986, ma all’epoca chiaramente non erano ancora le serie che conosciamo oggi, erano videogiochi singoli con canoni e identità ancora da plasmare e da definire, anche se già con radici ben salde. Shigeru Miyamoto, con Super Mario Bros. 2 (1986), successivamente conosciuto all’estero come The Lost Levels, realizza un sequel pensando a coloro che avevano completato il primo Super Mario Bros., ignorando totalmente i potenziali nuovi giocatori; ne esce un platform hardcore, sbilanciato e ancora oggi conosciuto per la sua estrema difficoltà, al punto che Nintendo sarà costretta a distribuire in occidente un videogioco totalmente diverso, Yume Kojo: Doki Doki Panic, sostituendo i personaggi e spacciandolo per il seguito di Super Mario Bros. È forse il primo grande fallimento del leggendario game designer giapponese, e gli altri ovviamente prenderanno appunti su come non realizzare un sequel, ma non tutte le ciambelle usciranno con il buco, è un periodo in cui effettivamente si naviga a vista.
La prima a sperimentare è Nihon Falcom con Dragon Slayer, una serie che nel 1987, nel momento in cui nasce Final Fantasy, conta già quattro capitoli, ma basta prendere Xanadu (1985) e Romancia (1986) per capire che in comune questi giochi hanno solo il nome e poco altro, mentre al contrario con Ys II: Ancient Ys Vanished (1988) si assiste al primo vero sequel diretto del genere, la seconda parte premeditata di una singola storia. Enix opterà per un approccio diverso nonché quello più ovvio, ovvero prendere la formula del primo Dragon Quest e ampliarla, in primis affiancando al singolo eroe un gruppo di compagni, caratteristica che già aveva l’originale Final Fantasy, il quale guardava più a occidente, a Dungeons & Dragons. Il passo successivo per Sakaguchi e compagni fu invece quello di dare corpo alla narrazione, donare un nome e un’identità agli eroi, cercando i primi coinvolgimenti emotivi del giocatore: con Final Fantasy II nasce il Final Fantasy story-driven.



“Vorrei che i giochi provocassero una più ampia varietà di emozioni. Piangere, ridere, perfino arrabbiarsi. Le storie che commuovono le persone sono difficili da realizzare, ma dobbiamo provarci. Ecco perché quando scrivo una storia per un gioco, la scrivo come se stessi scrivendo un film”. Kenji Terada, 1988.

Lo staff del primo gioco viene riconfermato al gran completo, una cosa che può sembrare ovvia per altre serie ma lo è meno per Final Fantasy, che invece cambierà e alternerà le sue figure chiave in maniera ciclica, nel corso della sua storia, e infatti questo Final Fantasy precede una prima scissione interna al gruppo fondatore, che andrà a formare i team delle serie SaGa (Final Fantasy Legend), capitanato da Akitoshi Kawazu, e Seiken Densetsu (Final Fantasy Adventure, poi Mana), con a capo Koichi Ishii, entrambe debuttanti sul nuovo Game Boy di Nintendo. Lo scenario writer Kenji Terada avrebbe modo, almeno sulla carta, di mettere a frutto la sua decennale esperienza nel settore dell’animazione (sceneggiatore in Space Adventure Cobra, Kimagure Orange Road, Dancouga e altri), ma ben presto deve scendere a compromessi con un impianto narrativo che, per quanto più articolato di quello del primo Final Fantasy, risulta paradossalmente più banale. Final Fantasy II mette in scena la storia di un gruppo di ribelli in lotta contro un impero del male che sta velocemente conquistando il mondo, Squaresoft non poteva scegliere un soggetto più semplice e immediato per il suo primo Final Fantasy narrativo, andando a pescare a piene mani nell’immaginario cinematografico di George Lucas (già a sua volta formato di archetipi consolidati), rendendo FF II il primo dei tre “Star Wars” della serie, insieme a IV e XII, vi è persino un personaggio chiamato Leila e un’enorme corazzata in costruzione sulla falsariga della Death Star a diradare ulteriori dubbi.
Al contrario di quanto avverrà in Final Fantasy IV, che per soggetto si può considerare la naturale evoluzione di questo secondo capitolo (così come FF III lo sarà nei confronti del primo), qui non c’è alcun conflitto interiore che riguarda i protagonisti, presentandosi come una storia fortemente manichea di bene contro il male, con l’unica eccezione del personaggio di Leon, il primo di una serie di “alleati/antagonisti” che da Cain porterà a Seifer. Ci sono anche le prime morti che riguarderanno personaggi secondari, ma Final Fantasy II alla fine è questo, un FF di “prototipi” che difficilmente può coinvolgere il videogiocatore odierno, proprio per il suo essere antesignano di svariati paradigmi che la serie porterà avanti e in modo più rifinito, a cui va riconosciuto il merito di introdurre, oltre a mostri iconici come Behemoth, Bomb e Molboro, quelle che diventeranno le due mascotte della serie, entrambe ideate da Keichi Ishii, ovvero il pennuto Chocobo, creatura cavalcabile, e il Moguri, quest’ultimo già disegnato e previsto come mostro comune ma che debutterà in Final Fantasy III.



Final Fantasy II è tuttavia ricordato principalmente per il suo particolare sistema di progressione, che elimina totalmente i classici punti esperienza in favore di una meccanica basata sulle statistiche individuali del personaggio, quali forza, intelligenza e resistenza, che aumentano in base alle sue azioni in battaglia. Per cui, un personaggio che attacca spesso vedrà la propria forza aumentare, mentre lanciando magie bianche e nere avrà effetti migliorativi rispettivamente su spirito e intelligenza. Sulla carta è un concetto interessante, a suo modo più “realistico” del singolo fattore matematico degli EXP, sulla pratica un po’ meno e ben poco bilanciato, con alcuni giocatori che inizieranno a colpire i propri alleati per aumentare più in fretta gli HP; è un sistema che non verrà più ripreso, anche se l’idea delle due armi equipaggiabili (su mano destra e sinistra), soggette ad un rank di maestria (più un personaggio usa una determinata e più diventerà forte con essa) viene ben accolta e sarà implementata nella serie SaGa.



Alla fine Final Fantasy II perderà totalmente il confronto con il monumentale Dragon Quest III, uscito nel febbraio dello stesso anno, con il suo innovativo sistema di classi, il ciclo giorno-notte e una profondità che in questa generazione Square può solo sognarsi. Il terzo capitolo della serie, prequel dei primi due, spazza via ogni record vendendo un milione di copie al lancio e 3,8 complessivi, provocando bigiate di massa da scuola degli studenti al punto che i successivi usciranno di sabato invece che di venerdì, tradizione che perdura tutt’oggi. La saga di Enix è in questo momento storico una montagna impossibile da scalare, se con il primo FF c'era comunque la convinzione di aver fatto qualcosa di diverso e più avanzato nei confronti del primo DQ, questa volta il gap tra le due serie aumenta sotto ogni punto di vista, ma Final Fantasy II è paradigma di quella mentalità della serie di sperimentare e di mettersi costantemente in gioco.
Kenji Terada nel 1989 pubblicherà una novel basata su Final Fantasy II intitolata Muma no Meikyū (il Labirinto dell'Incubo) con retroscena inediti dei personaggi.



Nel 2021 Square Enix attua un processo di ricostruzione dei classici Final Fantasy servendosi del versatile motore Unity, pubblicando sei nuovi remake destinati a sostituire le mai amate le versioni mobile. Riproposto su console quasi sempre in coppia con il suo predecessore, Final Fantasy II ritorna in versione Pixel Remaster venduto singolarmente in digitale, oppure in bundle insieme agli altri cinque FF 2D, debuttando prima su Steam, iOS e Android per poi arrivare su PlayStation 4 e Nintendo Switch nell'aprile 2023. A differenza dei remake precedenti, che presentavano sprites di volta in volta sempre più definiti, per i Pixel Remaster, come da titolo, Square Enix ha scelto di mantenere un aspetto retro con i pixel ben in vista, forse sulla scia dei recenti successi del cosiddetto Team Asano (anche se è bene chiarire che non utilizza lo stesso stile "HD-2D" di Octopath Traveler e Live A Live, di cui gioverà invece Dragon Quest III). Per questo motivo è stata richiamata la veterana Kazuko Shibuya, che ha ridisegnato tutti i personaggi in pixel art adattandoli ai moderni televisori e l'aspect ratio in 16:9; il risultato è uniforme, coeso e brillante dal punto di vista cromatico, con il solo neo rappresentato dal font inizialmente scelto da Square Enix, terribilmente generico e in netto contrasto con l'aspetto generale. In un gioco che si esprime esclusivamente per via testuale, se sbagli il testo rischi di sbagliare tutto, è una cosa ovvia ed è normale che i giocatori se ne accorgono immediatamente, gli sviluppatori sono corsi ai ripari implementando un nuovo font "retro", decisamente migliore del precedente anche se a mio avviso ancora non perfetto.
Non può che definirsi importante invece il lavoro fatto sulla colonna sonora, totalmente (e nuovamente) riarrangiata per l'occasione sotto la direzione di Hidenori Miyanaga e musicisti vari come Shingo Kataoka (World of Final Fantasy) e Reo Uratani (Monster Hunter). Ancora una volta Square Enix dimostra di non risparmiarsi sul fronte musicale, anche perché quello delle soundtrack rimane per l'azienda un settore abbastanza remunerativo. Presente all'appello una Gallery con player musicale e decine di illustrazioni e concept.



Sull’aspetto grafico e sull’arrangiamento sonoro dunque non si discosta da Final Fantasy I, mentre sul fronte della difficoltà la questione è un po’ più complessa. Il particolare sistema di progressione di questo capitolo fa sì che il gioco possa sembrare astruso per qualcuno e facilmente malleabile da chi ne conosce le meccaniche. FF II già in principio era un RPG dal bilanciamento tutt’altro che ottimale, questo anche a causa del fatto che lo staff ad un certo punto della lavorazione dovette trasferirsi in California per seguire Nasir Gebelli (a cui era scaduto il visto), sviluppando il gioco nientemeno che in un motel, condizione che andrà ad inficiare sulla fase finale di testing. Paradossalmente se FF II fosse troppo facile complicherebbe la vita al giocatore, poiché sarebbe spronato ad utilizzare meno magie e riceverebbe meno colpi dai nemici, di conseguenza le sue statistiche non aumenterebbero come dovrebbero, rischiando di arrivare al dungeon finale pericolosamente sotto-livellato. La Pixel Remaster prova a raggirare questo problema aumentando gli HP anche in modo automatico, dopo una serie di vittorie in battaglia, anche se in modo più lento di quanto aumenterebbero subendo danni.

L’aspetto positivo è che Final Fantasy II è un RPG fortemente personalizzabile e condizionabile, qualora l’avventura dovesse diventare facile può essere il giocatore a “bilanciarlo”, provando ad esempio a cambiare equipaggiamento, oppure combattendo di meno, mentre in caso risulti frustrante allora basta focalizzarsi sul rank delle armi oppure mettere mano alle impostazioni per aumentare l’esperienza guadagnata, le variabili sono tante e il giocatore può sbizzarrirsi a “rompere” un gioco dalle idee interessanti e indiscussi meriti storici, ma mai del tutto rifinito neanche nei suoi remake.

Final Fantasy III (1990)

Il gulgano aveva così profetizzato: “il terremoto è solo l’inizio. Le viscere della Terra inghiottiranno i Cristalli, luce del nostro mondo, per far riemergere le creature mostruose rimaste nascoste. Ma questa non è che una parte di ciò che succederà. Qualcosa di incredibile, sinistro e imperscrutabile sta per accadere. Ma la speranza non è ancora perduta, quattro persone saranno benedette dalla luce, e così la storia avrà inizio...”. Secoli fa, gli Antichi usarono i Cristalli di Luce per costruire una civiltà avanzata e innescarono un catastrofico flusso di luce. Furono selezionati quattro Guerrieri dell'Oscurità per ristabilire l'equilibrio e la civiltà degli Antichi cadde in rovina.
I saggi Gulgani predissero che la storia si sarebbe ripetuta e che quattro Guerrieri della Luce sarebbero stati nominati per fermare un diluvio di oscurità. Molti anni dopo, un terremoto apre un'entrata alla Grotta dell'Altare vicino al villaggio di Ur. Quattro giovani orfani sotto la cura di Topapa, l'anziano del villaggio, esplorano e trovano il Cristallo del Vento che concede loro una parte del suo potere.


“Il nome "Final Fantasy" definisce un titolo generico per dei mondi che hanno in comune cose come i cristalli, gli oggetti condivisi e la magia. Ecco perché non ci dispiace cambiare i sistemi di gioco ogni volta. I sequel che cambiano solo la storia e nient'altro sarebbero noiosi, giusto? Spero che i giocatori si divertiranno a sperimentare un nuovo mondo di Final Fantasy in ogni gioco”. Hironobu Sakaguchi, 1990.

Questa dichiarazione di Hironobu Sakaguchi, risalente ad oltre trent’anni fa, oltre ad essere un buon promemoria per coloro che ancora perdono tempo a criticare questo o quel nuovo Final Fantasy, rei di essere o meno Final Fantasy, o meglio, di seguire instillati dettami di un ideale Final Fantasy presente nella testa di queste persone, sintetizza ciò che sarà il metodo di sviluppo di Squaresoft nel corso degli anni ‘90, periodo in cui raggiunge la sua definitiva maturazione. Final Fantasy III, sotto molti aspetti, si pone come l’ultimo step di un certo modo un po’ ingenuo e schematico di fare giochi di ruolo, dei Guerrieri Prescelti perché sì; il terzo e ultimo Final Fantasy per Famicom rappresenta la fine dell’infanzia dei JRPG, il diplomino che precede la successiva e turbolenta generazione dei 16-bit.
L’era Famicom stava giungendo al termine, e con essa la baburu keiki (bolla economica), ma il Giappone sembrava non curarsene troppo, il Mega Drive stentava a decollare e il PC Engine era una macchina per otaku o comunque indirizzata ad un target più ristretto ed esigente, nulla a che vedere con la veneranda console Nintendo che era e rimaneva la console del popolo e delle famiglie, quella che ospitava Dragon Quest e con cui si vendevano non migliaia, ma milioni di cartucce. Squaresoft non mostrava ancora grande interesse nel trasferirsi su un hardware più potente, piuttosto fu tra le prime a credere sulla debuttante console portatile di Nintendo, il Game Boy, con lo sviluppo di Makai Toushi SaGa (1989), primo gioco di ruolo portatile e primo di una fortunata serie ideata da Akitoshi Kawazu, il quale saluta di conseguenza Final Fantasy prendendo una strada creativa tutta sua.

Dal canto suo, Final Fantasy III rientra in quel gruppetto di “sequel riparatori” di cui fanno parte Akumajō Densetsu (Castlevania III: Dracula’s Curse), Super Mario Bros. 3 e The Legend of Zelda: A Link to the Past, chiamati a correggere i difetti degli audaci “numeri 2” per riportare le rispettive serie su binari più sicuri. Il tempo impiegato per lo sviluppo per questo terzo capitolo aumenta da dodici a sedici mesi, periodo in cui Squaresoft pubblica lo strategico Hanjuku Hero (1988) e Square's Tom Sawyer (1989), curioso RPG ispirato al personaggio letterario di Mark Twain. Proprio da questi due progetti arrivano due figure chiamate a sostituire parte dello staff dei primi due Final Fantasy: il designer Kazuhiko Aoki e il planner Hiroyuki Itō, qui addetto agli effetti sonori ma che in seguito sarebbe arrivato a dirigere due tra i Final Fantasy più amati di sempre, ossia VI e IX. Sia Hanjuku Hero che Square's Tom Sawyer erano due giochi che si prendevano ben poco sul serio e caratterizzati da un tono leggero (tralasciando l’ingenuo razzismo del secondo), non è chiaro quanto ciò, contestualmente al boom di Dragon Quest, abbia inciso sul percorso creativo del terzo Final Fantasy, ma risulta abbastanza evidente il tono scelto per la narrazione; se con Final Fantasy II la serie vede il debutto del dramma, con Final Fantasy III questa conosce per la prima volta l’umorismo.

Final Fantasy III è il capitolo della serie rimasto inedito in occidente per un tempo maggiore, ben 16 anni, di conseguenza è stato a lungo il Final Fantasy meno conosciuto al di fuori del Giappone. Quando nel 2008 esce Dissidia Final Fantasy per PlayStation Portable, il protagonista di FF III, un tappetto con una curiosa armatura decorata rossa, spicca particolarmente in mezzo agli altri eroi disegnati da Yoshitaka Amano, come il Warrior of Light o Cecil, tendenzialmente dall'aspetto affascinante e longilineo, quello di FF III si presenta oltretutto con un design che ignorava totalmente l'eroe del remake 3D, dal nome Luneth, uscito appena due anni prima. L’originale Final Fantasy III inizia con quelli che sembrano quattro ragazzi, che tornano ad essere anonimi come in FF I (ma non muti, ogni tanto parlano), intenti ad esplorare una caverna con indosso tutti una buffa armatura; è la nascita del mitico Onion Knight, ideato, anche in questo caso, da Koichi Ishii, che ha disegnato tutti i Job del gioco.

“Per Onion Knight, volevo un'atmosfera infantile. Un bambino vestito con un'armatura ricavata da una scatola di cartone, che brandisce una spada di legno; quel tipo di impressione. Quindi indossano un elmo con una soffice decorazione”. Koichi Ishii.

Intendiamoci, Final Fantasy III non è una buffonata, la storia avrà comunque i suoi momenti più seri, ma il cambio di registro rispetto al gioco precedente appare evidente nei dialoghi, oppure nelle situazioni che richiedono l’utilizzo di magie “buffe” come Mini e Frog, necessarie a superare determinati ostacoli. Il Job System è invece il fiore all’occhiello di Final Fantasy III, il quale si distingue dall’originale Final Fantasy per versatilità, essendo possibile cambiare Job a piacimento nel corso dell’avventura; ogni cristallo trovato nella storia (Vento, Fuoco, Acqua e Terra) sblocca un nuovo set di classi arrivando così ad un totale di 26, anche se il vero giocatore di Final Fantasy III finisce il gioco con almeno un Onion Knight, perché così deve essere. Ispirato in modo abbastanza palese alle “vocazioni” di Dragon Quest III, tale sistema troverà la sua consacrazione in Final Fantasy V, ancora oggi considerato uno dei migliori esponenti ad averlo, ma già qui mostra tutto il suo potenziale in fatto di personalizzazione del party. Un’altra importante introduzione di Final Fantasy III sono le Summon, queste sì, marchio registrato della serie rispetto alla concorrenza, tra le otto disponibili in questo gioco di debutto ci sono già le più iconiche come Ifrith, Shiva, Odin, Leviathan e Bahamut.

Final Fantasy III riceverà tuttavia anche delle critiche per l’estrema difficoltà, in particolare del dungeon finale, ritenuto troppo lungo ed estenuante, il caso divenne talmente noto sulle riviste di settore da essere citato anche in un manga comico di Yoshida Sensha. Alla luce di queste lamentele, Final Fantasy IV introdurrà i punti di salvataggio all’interno dei dungeon, fino ad allora assenti. Final Fantasy III esce il 27 aprile 1990, appena un mese e mezzo dopo Dragon Quest IV: Michibikareshi Monotachi, il che lo rende ancora oggi lo scontro tra le due superpotenze più ravvicinato mai registrato, ed è proprio l'RPG Squaresoft a spodestare nella classifica Famitsu quello Enix, rimasto però al 1° posto per sei settimane consecutive. Il confronto nelle vendite totali rimane impari ma la serie è in costante crescita di popolarità e prestigio, con l’uscita del Super Famicom Square può guardare con fiducia e ambizione l’avvento della nuova generazione di console.
Yū Kinutani (Amon: The Dark Side of the Devilman, Ghost in the Shell: Stand Alone Complex) nel 1991 disegna un manga raccolto in tre volumi tratto dal gioco, intitolato Yūkyū no Kaze Densetsu: Final Fantasy III Yori.

Final Fantasy III ritorna in versione Pixel Remaster venduto singolarmente in digitale, oppure in bundle insieme agli altri capitoli pre-VII, debuttando prima su Steam, iOS e Android per poi arrivare su PlayStation 4 e Nintendo Switch nell'aprile 2023. Di Final Fantasy III vale la pena sottolineare un cambio di prospettiva per quanto concerne gli sprites di alcuni job, come i Mage, il Ranger o lo stesso Onion Knight, che in battaglia appaiono leggermene in diagonale invece che di profilo, con la visione di entrambi gli occhi a donare, secondo Koichi Ishii, una maggior profondità ed espressività agli stessi, una scelta che rivedremo anche in FF IV con Rydia, Tellah, Palom e Porom. Agli occhi non attenti di un profano i primi tre Final Fantasy possono sembrare graficamente identici, ma questo fu un tratto distintivo del terzo capitolo che Kazuko Shibuya, nella sua esperienza, ha mantenuto anche in questo remake. Rispetto a Final Fantasy II, FF III è molto più rifinito e profondo, in base ai Job scelti la difficoltà può variare sensibilmente, generalmente la Pixel Remaster risulta più facile rispetto all’originale, ma al contrario di FF I è più equilibrato, avere un quick save in occasione dell’infernale dungeon finale va effettivamente a correggere un difetto aspramente criticato nel 1990.

Per il resto su Final Fantasy III, rispetto ai suoi predecessori, pende un confronto pesante, ovvero quello con il remake in 3D realizzato da Matrix Software per il Nintendo DS nel 2006 e successivamente portato anche su altre piattaforme, considerato più o meno all’unanimità come uno dei migliori casi di rifacimento di un vecchio RPG, nonché prima grande intuizione di recupero da parte del brillante Tomoya Asano (Triangle Strategy, Live A Live). La realtà è che sono due modi di vedere Final Fantasy III profondamente diversi, pensare che il remake 3D sostituisca l’originale è come pensare che Final Fantasy VII Remake sostituisca Final Fantasy VII, il concetto è il medesimo, poco importa quanto uno sia più fedele di un altro, Square Enix li considera due prodotti distinti, come dimostrato dal fatto, già accennato, che Luneth non abbia preso il posto del più iconico Onion Knight nei giochi celebrativi della serie come Dissidia o Record Keeper, oltre al fatto che FF III 3D, per chi volesse, è ancora acquistabile su Steam. Certo i dialoghi maggiormente approfonditi e lo splendido character design a cura di Akihiko Yoshida sono motivi importanti per preferire il remake, ma questo non significa che la versione 2D, che ha dalla sua una maggiore fedeltà all’originale, sia meno valida, per cui alla fine la scelta (e perché non entrambi?) è a discrezione del giocatore.

Final Fantasy IV (1991)

Il Regno di Baron ha iniziato una campagna militare di aggressione contro altri paesi, forte del fatto di essere l'unica nazione in possesso di una flotta di aeronavi, il cui fiore all’occhiello è rappresentato dalle Red Wings, capitanate da Cecil Harvey. Dopo essersi impossessato del Cristallo dell’Acqua dalla città dei maghi di Mysidia, Cecil, turbato dalle sue azioni, chiede al Re di Baron il motivo di queste aggressioni compiute contro popoli inermi. Il sovrano in tutta risposta lo destituisce dal suo rango di Capitano delle Red Wings, e quando il suo amico Cain Highwind prova a difendere la sua lealtà, il re ordina a entrambidi dirigersi al villaggio di Mist per consegnare un oggetto. La sera prima Cecil riceve la visita di Rosa, sua amica d’infanzia, la quale prova a dare conforto all’uomo di cui è ora innamorata, ma il cuore del cavaliere è sempre più avvolto dalle tenebre e tormentato dai rimorsi...

Il Super Famicom debutta sul mercato giapponese il 21 novembre 1990 raccogliendo un immediato successo commerciale con oltre 300,000 console vendute in poche ore, per fare un paragone il suo più accreditato rivale, il Mega Drive di Sega, aveva impiegato un anno per piazzarne 400,000. Nonostante il successo del nuovo gioiello di Nintendo, trainato da un titolo di lancio del calibro di Super Mario World, fosse alla vigilia del lancio abbastanza pronosticabile, Squaresoft aveva iniziato lo sviluppo di Final Fantasy IV sul vecchio Famicom, parallelamente al quinto capitolo, che invece sarebbe stato quello di debutto per il sistema a 16-bit. Al contrario di ciò che si potrebbe pensare, non è il FFIV per NES ad essere stato “potenziato” a gioco SNES, bensì è ciò che nei piani di Square avrebbe dovuto essere FFV, a divenire il FFIV che oggi conosciamo, pur avendo accorpato a sé molti degli elementi dal gioco abortito, di cui furono pubblicate alcune immagini sulle riviste dell’epoca e che era, a detta di Hironobu Sakaguchi, completo all’80%.
Takashi Tokita, dopo alcuni ruoli minori come graphic designer, prende le redini del progetto in veste di lead designer e scenario writer, mentre al contrario uno dei fondatori di Square e della prima trilogia, Hiromichi Tanaka, lascia la serie per dedicarsi a Seiken Densetsu 2 (Secret of Mana), maggiormente attratto da una declinazione action del genere. Sakaguchi, Amano e Uematsu rimangono saldi ai loro rispettivi ruoli di director, illustratore e compositore, ma è evidente che con Final Fantasy IV si assiste ad un primo, seppur parziale turn-over all’interno della serie; Ken Narita prende il posto del leggendario Nasir Gebelli come main programmer, e nel frattempo si affacciano nuove personalità come Tetsuya Takahashi (grafica di battaglia, per il futuro creatore di Xenogears), Akihiko Matsui (battle designer con Itou, cui si deve l'invenzione dell'ATB) e Akira Ueda (qui ai sound effect, ma con un futuro in importanti ruoli per Love-de-Lic e Grasshoper Manufacture).

“In Square abbiamo deciso tutti insieme: se vogliamo fare FFIV, facciamolo bene. Niente più cose a metà. Quando guardiamo indietro ai precedenti tre giochi di Final Fantasy, vediamo ogni sorta di cosa che si potrebbero cambiare, che si tratti di ritmo o dialoghi migliori, c'è molto da migliorare. Quindi, in questo senso, vediamo questo gioco come una sfida decisiva per noi”. Nobuo Uematsu, 1991.

È tendenza comune considerare Final Fantasy IV come la linea di demarcazione che separa i FF cosiddetti classici e quelli moderni, una sorta di battesimo del fuoco di ciò che sarà la serie da qui in avanti, qualitativamente parlando. Per quanto possa essere ingeneroso nei confronti dei predecessori e i loro indubbi meriti, tale etichetta su FFIV è in buona misura veritiera e già all’epoca c’era questa impressione che Squaresoft stesse compiendo finalmente quel salto di qualità di cui la serie aveva bisogno, per avvicinarsi così alle produzioni di Enix. Prima di dedicarsi a tempo pieno ai videogiochi, Takashi Tokita intraprese una breve carriera di attore teatrale e chissà, forse questo suo trascorso è sconnesso al contesto, o forse no, ma fin dalle prime battute si avverte qualcosa di diverso in Final Fantasy IV, rispetto al passato, è un Final Fantasy intriso di un marcato timbro teatrale e drammatico. Il primo dialogo tra Cecil e Rosa è quasi shakespeariano.

Tokita definisce Final Fantasy IV “il primo gioco di ruolo giapponese a presentare personaggi e trama così profondi", tradendo forse una certa autocelebrazione, i giocatori di Phantasy Star II (1989) avrebbero di che obiettare, ma è certamente il primo gioco di ruolo Square a puntare molto su un dramma più costruito, donando caratterizzazione ai personaggi e introducendo la serie al romanticismo con il triangolo Cecil-Rosa-Cain, per portare così avanti quel percorso creativo iniziato con Final Fantasy II. Contestualmente a questo rinnovato obiettivo, Final Fantasy IV abbandona il Job System del terzo capitolo in favore di un sistema che valorizza la singolarità di ognuno degli eroi, ecco quindi che la giovane invocatrice Rydia sarà l’unica a poter evocare i potenti Eldolon, Yang può servirsi di tecniche di arti marziali uniche e la dolce Rosa è la curatrice per eccellenza. Ma non è solo una questione di specifici ruoli, per alcuni di essi è il carattere stesso ad emergere in maniera duttile nel loro stile di gioco, per cui abbiamo Edward che fugge dalla battaglia quando le cose si mettono male, il potente ma anziano Tellah che esaurisce il suo potere magico molto più in fretta rispetto ai maghi più giovani, e l’attacco speciale di Cecil che richiede energia vitale delinea in maniera quasi metaforica il percorso autodistruttivo del Cavaliere delle Tenebre, mentre al contrario in versione Paladino difenderà i suoi compagni in difficoltà; in Final Fantasy IV, per la prima volta, le meccaniche di gioco non seguono più un percorso separato alla narrazione, bensì divengono parte di essa.

Un Nobuo Uematsu coinvolto come mai prima d’ora intercetta questa evoluzione componendo la prima traccia romantica della serie dall’inequivocabile titolo Theme of Love, così come fanno la loro apparizione i temi dei personaggi, nello specifico per Rydia, Edward e Cid, conferendo alla colonna sonora una bellezza e una varietà senza precedenti, spronato dalla qualità raggiunta dal maestro Yuzo Koshiro per ActRaiser. Anche il mondo di gioco, grazie alla maggior potenza della nuova console Nintendo, aumenta non solo in ampiezza ma anche in varietà, Baron è diversa da Fabul che a sua volta si distingue dalla città di Troia, in un lungo viaggio che ci porterà dalle viscere della terra fin sulla Luna. Final Fantasy IV non riesce comunque a nascondere determinati limiti del tempo, Tokita stesso ammette i tagli alla sceneggiatura a causa dello spazio su cartuccia, e i numerosi sacrifici che contraddistinguono la seconda parte dell’avventura rischiano di essere stucchevoli (quando non involontariamente buffi, per gli standard di oggi), piuttosto che commoventi, dato che il tempo trascorso con questi personaggi rimane comunque piuttosto limitato, vanificando in parte la ricerca di quell’emotività inseguita da Sakaguchi e compagni. Un problema che verrà avvertito da Takeshi Miyaji di GameArts, Yasumi Matsuno di Quest, Masato Kato e Tetsuya Takahashi di Square, Yoshiharu Gotanda di Telenet, e più in generale coloro che traineranno la seconda generazione di scrittori di JRPG per portare il genere su un livello di coinvolgimento superiore. Ma già il successivo Final Fantasy V proverà a migliorare su questo aspetto.

Final Fantasy IV esce il 19 luglio del 1991 e trova campo libero, le uscite di Dragon Quest iniziano a dilatarsi (il V è previsto per il 1992), anche se Enix ha scoperto nel frattempo i talenti di Quintet, di conseguenza l’unica altra uscita milionaria dell’anno è The Legend of Zelda: A Link to the Past, il gioco di ruolo Square si prende il secondo posto sia nelle vendite che nello score di Famitsu decretando definitivamente per la serie il ruolo di big dell’industria nipponica. Negli Stati Uniti, orfani di FF II e FF III, uscirà con il titolo di Final Fantasy II, in una versione parzialmente basata sulla “Easy Type” giapponese. L'Europa dovrà attendere il bundle per PlayStation Final Fantasy Anthology, uscito nel 2001.
Final Fantasy IV è uno dei giochi di ruolo che vanta il maggior numero di riproposte e remake di sempre, fin dallo stesso SNES, dove fu pubblicata una versione “facilitata” intitolata Easy Type, ai sistemi più recenti passando per PlayStation, Game Boy Advance, Wii e PSP, per queste ultime due venne anche realizzato un sequel ufficiale, The After Years, inizialmente pubblicato ad episodi. Come nelle precedenti Pixel Remaster, quella di FF IV epura tutte le aggiunte viste nelle riedizioni precedenti per riproporre l’originale nella sua essenza, ma con un livello di difficoltà notevolmente più basso, che lo avvicina più alle versioni GBA e PSP che non al remake 3D per Nintendo DS del 2007. Nonostante il IV sia forse il primo capitolo della serie a vantare un certo attaccamento emotivo da parte dei fan, fra le sei Pixel Remaster è stata per ora quella meno interessante da ripercorrere, proprio per le numerose riedizioni di cui è stato oggetto nel corso degli anni, anche la colonna sonora era già stata orchestrata in occasione del remake 3D e quindi riascoltarla non è stato impattante come potrebbero essere quelle di V e VI. Rimane ovviamente consigliato a chi non l’ha mai giocato e vuole recuperarlo, oppure a coloro che vogliono vedere sulla dashboard della propria console l’intera serie I-XII tipo Scala Reale.

Final Fantasy V (1992)

Il mondo prospera grazie al potere dei quattro cristalli elementali. Con la forza del vento, la gente ha navigato, con il potere del fuoco, ha alimentato le macchine, con il potere dell’acqua ha placato la sete e dalla terra a ricevuto la benedizione. Un giorno, il Re di Taycoon, avvertendo un’irregolarità nell’aria, si dirige verso il tempo del vento giusto in tempo per assistere al cristallo dissolversi davanti ai suoi stessi occhi, mentre poco distante da Tycoon un enorme meteorite precipita provocando un terremoto in tutta la regione. Quattro persone, che hanno percorso diversi cammini di vita, si incontrano nel trambusto di questo nefasto evento. Lenna, principessa di Tycoon alla ricerca di suo padre scomparso, Bartz, un viaggiatore senza meta, Galuf, un anziano trovato privo di memoria nei pressi del meteorite, e Faris, carismatico capitano di una ciurma di pirati. I quattro si ritroveranno a viaggiare insieme di regione in regione per svelare il mistero sulla crisi dei cristalli.

Il 28 gennaio 1992 Square pubblica in Giappone Romancing SaGa, primo capitolo della serie “SaGa” sviluppata per Super Famicom dopo la trilogia originale del Game Boy. È un trionfo, il gioco di ruolo di Akitoshi Kawazu rimane in testa alla classifica per due mesi sfiorando il milione di copie, per essere poi superato nelle vendite complessive solo in estate da Super Mario Kart e dalla conversione di Street Fighter II. Tale successo apre un nuovo capitolo per Squaresoft, si viene a delineare una situazione in cui la compagnia non è più soggetta al successo di un singolo gioco di ruolo della sua serie di punta. Di conseguenza, va fortificandosi quella che era una delle caratteristiche che muovevano le compagnie giapponesi più acclamate degli anni ‘90, come Konami e Capcom, ovvero la presenza di una forte concorrenza interna, in aggiunta a quella esterna, la quale induce una condizione di costante confronto allo scopo di spronare la realizzazione di prodotti sempre migliori, anche se di contro, a lungo andare, questo può portare a defezioni di determinati creativi.

Laddove il “Team Mana”, impantanato in questo periodo nel problematico sviluppo di Seiken Densetsu 2 previsto per il mai nato SNES-CD, manterrà da qui in avanti una certa autonomia, la serie Romancing SaGa, sommariamente, trova diversi punti di convergenza creativa con quella di Final Fantasy, nel 1992 sono infatti circa una decina i membri dello staff in comune tra le due serie, tra programmatori e grafici. Tra questi, si fa strada una persona destinata a diventare una delle colonne portanti del futuro della serie, ovvero Yoshinori Kitase, che in poco più di un anno contribuisce allo scenario del primo Seiken Densetsu e alla grafica di Romancing SaGa, prima di passare a lavorare sulla serie di punta della compagnia, che non lascerà più, diventando ben presto il braccio destro di Hironobu Sakaguchi, il quale, dal canto suo, è in procinto di dirigere il suo ultimo Final Fantasy prima di passare al ruolo di produttore e sceneggiatore. Alla voce monster design si fa largo un altro nome che farà parlare di sé, quello di Tetsuya Nomura, un neoassunto che inizia qui a scalzare Yoshitaka Amano come principale artista della serie, partendo dai mostri, le cui doti attirano fin da subito le attenzioni di tutta la dirigenza.
Nobuo Uematsu rimane ben saldo al suo ruolo di compositore, affiancato da Kenji Ito (SaGa) e da un debuttante Yasunori Mitsuda agli effetti sonori, mentre Tetsuya Takahashi viene confermato come field designer. Lo sviluppo di Final Fantasy V delinea quindi un quadro abbastanza particolare, ovvero quello di un Final Fantasy spesso erroneamente definito quasi come un remake dei primi capitoli ed un passo indietro risetto a IV, nonché l’ultimo dall’ambientazione “Fantasy classica” (pure questo non proprio esatto, quello di FFV è un mondo pieno di macchinari, a tratti steampunk) ma che in realtà, come vedremo, guarda molto al futuro, partendo proprio dalla seconda generazione interna a Square che questo capitolo contribuisce a lanciare.

Final Fantasy IV fu un buon successo, ma ricevette anche delle critiche per la sua eccessiva linearità, perché sì, già un paio di decenni prima di Final Fantasy XIII (2009) si sollevavano questioni di questo genere; con FF IV Square si era focalizzata molto sulla storia lasciando però poca libertà al giocatore sulla gestione del party, la cui formazione vene sostanzialmente determinata dalla storia, limitazioni che i giocatori di ruolo della prima ora non gradiscono particolarmente. Per questo motivo si decide di riprendere il Job System di Final Fantasy III, ma ampliandolo e potenziandolo fin dove nessuno, neanche Dragon Quest, era riuscito ad arrivare. Con la brillante intuizione degli AP (Ability Point), che si guadagnano in battaglia in concomitanza ai più noti EXP, un Job si potenzia di pari passo con il suo personaggio, finché questo, dopo un certo numero di battaglie, non arriva a padroneggiare le abilità del lavoro con cui ha raggiunto una certa affinità. In questo modo, quando arriva il momento di cambiare classe, il personaggio può equipaggiare un’abilità di un’altra classe precedentemente padroneggiata, così da premiare l’effettiva esperienza dell’eroe con un senso di continuità e non rendere vano il tempo passato con uno specifico Job. È possibile avere quindi ad esempio un ninja in grado di lanciare magie temporali, un ladro che può apprendere magie blu (novità di questo FF) o una danzatrice che può anche evocare, e via discorrendo. Tale sistema, che troverà fortunate applicazioni in strategici come Final Fantasy Tactics (1997), apre ad una gamma di personalizzazione senza precedenti, grazie al quale un giocatore arriva ad affrontare il boss finale con un party sempre diverso da quello di un suo amico, rendendo Final Fantasy V uno dei giochi di ruolo più profondi, stimolanti e genuinamente divertenti da giocare della sua generazione.

A questo punto si potrebbe pensare che a fare le spese per questa libertà nel sistema di gioco, come fu nel caso di Final Fantasy III, sia la narrazione, ma sarebbe un errore. Final Fantasy V assimila l’esperienza maturata con l’episodio precedente sul fronte della scrittura, correggendone al contempo gli errori e operando dove necessario per sottrazione: meno eroi principali, ma meglio approfonditi. Al di fuori infatti di Cecil, Palom e Porom (per la loro esuberanza) e Rydia, in FF IV è difficile provare empatia per ii restanti comprimari, che hanno due dialoghi in croce prima di uscire di scena, il cui percorso scaturisce in un sacrificio che nelle intenzioni dovrebbe essere d’impatto, ma finisce per non esserlo affatto. Complice anche il passaggio da una cartuccia a 8Mb ad una da 16, Final Fantasy V va a limare questo difetto dando maggior risalto ai singoli personaggi, con scene dedicate e backstory più dettagliate; in tal senso tra Sakaguchi e Kitase si crea un’immediata sinergia, scaturendo spesso in una sana competizione su chi avrebbe presentato la scena migliore, da qui in avanti i “flashback”, come quelli di Burtz nella sua città natale o sul passato di Galuf, diventeranno un marchio di fabbrica del duo di scrittori, così come il “finale fiume” dalla durata, per l’epoca imponente, di trenta minuti.

"Con Final Fantasy V, Kitase e io abbiamo provato a cambiare Final Fantasy e non abbiamo trattenuto le nostre idee. Anche se ci fossimo svuotati, avremmo riversato quante più idee possibili la volta successiva, cambiando tutto. Fondamentalmente, 'finché c'è un testo e la finestra blu, puoi fare tutto quello che vuoi”.

Un vero e proprio colossal per Squaresoft che necessita ovviamente di un accompagnamento sonoro altrettanto imponente, Uematsu non si risparmia e firma una delle migliori OST della sua carriera, la sempre più evidente attitudine del compositore per il rock progressivo emerge in particolare nei trascinanti temi di battaglia come The Decisive Battle e Battle at the Big Brige, quest’ultima divenuta un cult, senza dimenticare di dare risalto a quei momenti più intimi con toccanti brani come Reminiscence e My Home Sweet Home, quest'ultima un capolavoro nella versione Piano Collection.
Gli ingredienti per un trionfo da parte di Final Fantasy V ci sono tutti, con l’unico, solito e ormai arcinoto ostacolo rappresentato da Enix: Dragon Quest V: Tenkū no Hanayome esce il 27 settembre del 1992, due mesi prima del GDR di punta Square, formando le solite file chilometriche davanti ai negozi, spinto anche dal fatto di essere il primo, attesissimo capitolo della serie sviluppato per il Super Famicom. Dragon Quest V compie un salto ulteriore rispetto ai multi-scenari del IV mettendo in scena una storia cross-generazionale, in cui si impersona un eroe la cui storia lo porterà dall’infanzia all’età adulta, fino addirittura a sposarsi e continuare la sua lotta contro il male con la sua prole; un gioco di ruolo immenso che tocca determinati temi cari ai giapponesi, per questo supererà il III diventando il più apprezzato della serie, e tale lo è ancora oggi. Dragon Quest V vende oltre due milioni e mezzo di copie, FFV deve accontentarsi di un terzo posto dietro Super Mario Kart, non sfigurando affatto con il suo milione e duecentomila. C’è però una differenza tra le due serie, laddove l’evoluzione di Dragon Quest sostanzialmente si ferma con il trionfante quinto capitolo, per diventare progressivamente un emblema del tradizionalismo, quella di Final Fantasy è ancora in una fase intermedia del suo definitivo compimento, a partire dal 1994 la musica inizierà a cambiare e il vento della creatività inizierà a soffiare con maggior forza verso la direzione degli uffici di di casa Squaresoft.

Da Final Fantasy V è stata tratta nel 1994 una serie OAV in quattro episodi, intitolata Final Fantasy: Legend of the Crystals, prima incursione del franchise nell'animazione. Prodotta da Madhouse e diretta da Rintaro con la supervisione di Hironobu Sakaguchi e Nobuo Uematsu, la serie, simpatica ma palesemente con poche pretese e rivolta ad un pubblico giovane, si ambienta duecento anni dopo il videogioco e narra l'avventura dei discendenti degli eroi della luce. I quattro episodi sono stati pubblicati in Italia nel 1999 in due VHS sotto etichetta Pioneer e Dynamic Italia.

Similmente a FF III, il quinto capitolo è rimasto inedito a lungo in occidente, motivo per cui è molto meno famoso di IV e VI, nonostante Ted Woolsey avesse già iniziato a tradurlo all'epoca dello SNES, tale script pare sia stato poi ripreso come base per la versione PlayStation (il ridicolo accento piratesco su Faris e altre "licenze poetiche" sono effettivamente parte del suo stile). La versione Game Boy Advance del 2006 giova di una traduzione più fedele all'originale e di molte correzioni ai bug storici (anche se ne spuntano di nuovi), su questa versione si baseranno le successive iOS/Android del 2013 e Steam del 2015, oggi rimosse, e la Pixel Remaster, che corregge i nuovi glitch emersi su GBA, rimuovendone i contenuti aggiuntivi (un dungeon e quattro inediti job) e ripristinando l'introduzione originale SNES.

Alla luce delle correzioni dei bug, con possibilità ulteriori di intervenire con patch mirrate, dei miglioramenti all'interfaccia e al sistema di gioco (come la possibilità di il passare l'azione tra un personaggio all'altro, assente nell'originale), agli sprites di Kazuko Shibuya e alla palette di colori dei mostri più fedeli agli originali SNES, soprattutto rispetto all'edizione mobile del 2013, al lavoro fatto sul sonoro nonché ad una difficoltà tutto sommato molto più bilanciata rispetto alle altre riedizioni dei classici FF, si può affermare con tranquillità che questa sia la miglior Pixel Remaster esaminata fino ad ora e senza ombra di dubbio la miglior versione di Final Fantasy V pubblicata fino ad oggi.


VI - La ricerca della perfezione
Final Fantasy VI
1994 SNES

Up1WD

Nel 1994 Squaresoft ed Enix dominavano il Giappone. Da una parte i Final Fantasy, i Romancing SaGa e Secret of Mana, rilasciati anche in occidente, dall’altra Dragon Quest con relativi remake, Illusion of Gaia e Soul Blazer: tutti titoli capaci di vendere almeno 300'000 copie ciascuno, e il biennio 1995/96 con i suoi Chrono Trigger, Dragon Quest VI, Terranigma e Star Ocean doveva ancora arrivare. Insomma il dualismo delle due software rendeva l’appassionato di jrpg possessore di uno SNES un uomo felice.
Final Fantasy VI era destinato, fin dalle prime fasi della sua produzione, a diventare lo spartiacque dell’intero genere, il culmine di un percorso creativo iniziato nel 1986 e quindi il faro da seguire, così come Mario lo è da sempre per i platform.
Hironobu Sakaguchi, divenuto vice presidente esecutivo della compagnia, butta giù la sceneggiatura per poi ricoprire il ruolo di producer, lasciando la direzione artistica a Yoshinori Kitase e Hiroyuki Ito. Tra gli altri, Yoshitaka Amano torna ovviamente ad occuparsi di character design, Nobuo Uematsu alla direzione musicale e un giovane Tetsuya Nomura, che aveva debuttato in FFV come grafico di battaglia, inizia qui a scalare i ranghi artistici più importanti.
La particolarità di FFVI, come sicuramente molti giocatori avranno notato, è la sua mancanza di un protagonista assoluto. Tale risultato è la conseguenza del lavoro collettivo del “Dream Team” di cui sopra, una sorta di “processo produttivo ibrido”, come definito dallo stesso Kitase, che ha reso FFVI il capitolo più corale dell’intera saga: ogni membro ha infatti contribuito alla creazione della storia: se Sakaguchi ha ideato Locke e Terra, Kitase ha aggiunto Celes e Gau, Nomura è l’artefice di Setzer e Shadow mentre a Kaoru Tanaka dobbiamo la creazione dei fratelli Edgar e Sabin.

Questa alchimia di menti creative rende il cast di più ampio e variegato mai visto, FFVI torna alla filosofia dei drammi personali abbracciata dal quarto episodio, permettendosi anche di superarlo sotto molti aspetti. Ogni personaggio del gioco porta con se un pesante fardello che ineluttabilmente rischia di farli crollare psicologicamente, dagli insistenti sensi di colpa che Locke e Cyan provano rispettivamente per la perdita della sua ragazza Rachel e per essere l’unico sopravvissuto del suo regno, ai dilemmi emozionali di Terra (Tina nella versione originale), passando per il fragile attaccamento al gruppo di Celes fino ai rapporti trattati con più semplicità tra Edgar-Sabin, Shadow-Relm, il tutto sorretto da una solida struttura di flashback (più presenti che mai) e sottotrame. Chiaramente non mancano, su quattordici personaggi giocanti, degli elementi puramente estetici, come Mog, Gogo (cameo di FFV) e Umaro, ma l’opera non smette mai di estasiare con la sua narrazione priva cadute di tono e un susseguirsi di avvenimenti, non sempre chiari e spiegati meticolosamente ma che proprio per questo stimolano il giocatore alla riflessione e alla libera interpretazione. Ne è la prova anche la non linearità dell’ultima fase di gioco, quella del “World of Ruins”, in cui il giocatore può decidere in quale ordine esplorarlo e persino quali personaggi portare alla battaglia decisiva contro Kefka modificando così gli eventi finali.

Final Fantasy VI però è su questo mondo per ricordarci che è anche un videogioco, e neanche su tal fronte delude le aspettative. La difficoltà complessiva cala leggermente rispetto al capitolo che l’ha preceduto, ma il gioco è ancora una volta immenso, divertente e appagante. Il sesto capitolo della saga inaugura la corrente del “Magitek” abbandonando così il fantasy più puro senza però rinunciare ad un mondo ricco di epica e misticità con il conflitto tra magia e tecnologia che sarà tema anche del celebre episodio successivo.
Graficamente parlando FFVI è qualcosa di maestoso, tutto dalle città alle foreste è raffigurato fin nei minimi dettagli e la “Mode7” dello SNES viene utilizzata per dare alla mappa una sensazione di tridimensionalità, una volta alla guida di qualche mezzo di trasporto.
Con FFVI Nobuo Uematsu firma un capolavoro di soundtrack dalla durata di 3 ore: i brani entrati nella storia della saga non si contano, ma meritano particolare menzione il tema di Terra, quello (lirico) di Celes, l’adrenalinica “The Decisive Battle”, la toccante “Forever Rachel”, e tante altre.

FFVI venne pubblicato negli Stati Uniti con il titolo di Final Fantasy III in una versione purtroppo stuprata da un adattamento in inglese ad opera di Ted Woosley, superficiale e degradante, con pure delle censure visive per le solite incomprensibili politiche della allora Nintendo of America (altre vittime illustri: Earthbound, Chrono Trigger..). Malauguratamente l’edizione PSX che giungerà anche in Europa nel 2002 (con inclusa una demo di Final Fantasy X) presenta lo stesso adattamento, con l’aggiunta di filmati in CG e qualche extra come bestiario e player musicale. In nostro soccorso arriva fortunatamente la versione Game Boy Advance del 2006, con nuova traduzione finalmente fedele, e qualche aggiunta come quattro esper più due dungeon, peccato che l’audio del GBA non sia proprio una cima di qualità. FFVI è dal 2011 disponibile anche sul Playstation Network, ma come PsOne Classic quindi con le controindicazioni scritte in precedenza.
Giusto per trattare di una curiosità finale: ovvero i capelli di Terra. Negli schizzi iniziali di Yoshitaka Amano la ragazza appariva bionda, ma il suo sprite nel gioco presenta una chioma verde, ciò è dovuto probabilmente ad un fatto di attribuire una maggior distinzione con il personaggio di Celes. Il colore dei capelli di Terra è diventato "ufficialmente" verde menta, anche se con il passare degli anni tra i fan continua a tenere banco la divisione tra chi la preferisce verde e chi bionda. A scombussolare ulteriormente il caso ci pensa Square Enix che la fa tornare bionda nel videogioco per PSP Dissidia Final Fantasy, dedicando però alla vecchia versione un costume alternativo.



Edited by Twinkle - 2/4/2024, 11:59
 
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quesse sono le cosse che piaciono alla sgieeente :cactus:
 
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Tutta farina del mio sacco, sarà postato sul blog di una mia amica, purtroppo per le 6 parti previste ci potrei impiegare mesi...

Edited by Twinkle - 23/3/2012, 00:08
 
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parlerai anche dei vari seguiti (revenant Wing,FFXIII-2,FFVII dirgo of cerberus ecc.ecc.)e film ? :huh:
 
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Parte 1 NES
I, II, III
Parte 2 SNES
IV, Mystic Quest, V, VI
Parte 3 PSX
VII, Tactics, VIII, IX
Parte 4 PS2 e portatili
X, XI, Crystal Chronicles, X-2, Compilation of FFVII, XII
Parte 5 PS3/360 e portatili
Dissidia, The4Heroes of Light, XIII, XIV, XIII-2, XIV ARR

E' lunga, come ho detto potrei impiegarci mesi, ma nessuno mi corre dietro.

Edited by Twinkle - 24/6/2013, 15:25
 
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CITAZIONE (Twinkle @ 23/3/2012, 00:07) 
E' lunga, come ho detto potrei impiegarci mesi, ma nessuno mi corre dietro.

Attenderemo con fiducia :ook: , ottimo lavoro come sempre Twinkle :respect:
 
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Revil-Rosa
view post Posted on 23/3/2012, 14:05     +1   +1   -1




CITAZIONE (Twinkle @ 23/3/2012, 00:07) 
Parte 5 PS3/350
XIII, XIV, XIII-2

Che console e' la 350? :asd:
Scherzi a parte, e' un ottimo lavoro, non so dove tu possa trovare la voglia di scrivere tutta sta roba :listen:
 
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view post Posted on 23/3/2012, 14:50     +1   +1   -1
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mboh mi viene di getto

CITAZIONE
Che console e' la 350?

La versione scrausa della 360 :asd:

Edited by Twinkle - 23/3/2012, 17:03
 
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view post Posted on 23/3/2012, 15:56     +1   +1   -1
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Ex giovane

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Bhé complimenti a Twinkle per la passione e voglia che ci mette nel fare le cose ;)
Io non ce l'avrei mai fatta e poi sarei troppo sintetico :asd:
 
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iCloud
view post Posted on 23/3/2012, 17:02     +1   -1




Nel bluray dì FFVII advent children c'è tutto il cammino di FFVII se ti interessa XD
 
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view post Posted on 26/11/2012, 16:51     +1   -1
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Overlord

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ravviviamo un pò questo topico

CITAZIONE
Lo scorso week-end a Tokyo, Square Enix ha tenuto una conferenza sulla tech demo "Agni's Philosophy". Gli sviluppatori nel descrivere l'aspetto tecnico hanno voluto sottolineare quanto rientrasse nello spirito di Final Fantasy e nel farlo hanno spiegato quali sono gli elementi che devono essere presenti nella serie.



In primo luogo la magia, elemento base di tutta la serie. In secondo luogo le invocazioni, che da Final Fantasy III in poi non sono mai mancate. La terza caratteristica è la bellezza estetica(caratteristica acquisita dalla ps1 in poi), la quarta è la raffinatezza, ovvero il migliorare il gameplay ogni volta e andare a correggere dove in precedenza non ha funzionato e il migliorare dal punto di vista grafico. Infine il cambiamento e la sfida, ovvero la presenza ogni volta di un nuovo mondo,nuovi personaggi e una nuova storia.

Video
 
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silverwolf94
view post Posted on 8/12/2012, 11:22     +1   -1




sti c***i che lavorone twinkle beella! :D
 
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view post Posted on 17/5/2013, 16:36     +1   -1
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De Oranje Piraat

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http://www.spaziogames.it/notizie_videogio...-hd-per-pc.aspx

Ora nessuno si sogna di criticare la qualità della grafica che appare negli screen. Il gioco ha quasi 15 anni, i fondali sono immagini in 2D e sappiamo benissimo che non è possibile aumentarne la risoluzione in stile CSI, a meno che non si ridisegnino daccapo.

Nessuno quindi si lamenta se gli screen fanno schifo, questa vuole essere solo una riedizione per chi se l'è perso nel '99 (o vuole rigiocarlo) e non un remake.

Però, e qui mi incaxxo, PER QUALE CAVOLO DI MOTIVO DOVETE INSERIRE LA DICITURA "HD" NEL TITOLO SOLO PER FARE FIGO, SE DI TUTTO SI PUO' PARLARE MENO CHE DI ALTA RISOLUZIONE?!?
 
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view post Posted on 17/5/2013, 16:58     +1   -1
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Overlord

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pulizia delle texture, filmati CGI (non ho idea di come abbiano fatto) migliorati e tagliati a 16:9

confronto_ffviii_pc_big
 
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view post Posted on 17/5/2013, 17:37     +1   -1
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De Oranje Piraat

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Sì ma quelli usati nei filmati in CGI sono cmq modelli 3D di qualità superiore (almeno per l'epoca), per cui ripulirli e adattarli agli standard attuali è un po' quello che si è fatto con i giochi PS2.

Ma degli sfondi 2D o dei modelli poligonali del '99 sono oggettivamente impossibili da portare in HD.

PS: nei filmati già un notevole progresso si ottiene riducendo la compressione video. Nelle immagini si vede chiaramante come il filmato sia stato fortemente compresso in quanto a qualità video per farlo entrare nel CD di gioco.
 
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304 replies since 22/3/2012, 23:09   5202 views
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